A cura di Filippo Pederzini
Scomodo, verrebbe da dire, dato che diversi sono stati gli attentati nei suoi confronti. L’ultimo risale al 22 febbraio di quest’anno. L’ultimo, da quando è stato eletto alla presidenza della Repubblica di Abkhazia, in un trionfo popolare nel 2011, succedendo ad Sergej Bagpash. Patriota indefesso, con fama di combattere la corruzione e di non risparmiarsi per la crescita del suo paese, Aleksandr Ankvab, ancora giovane, come il suo predecessore – lo sono anche tutti i ministri dell’attuale governo dello stato che si affaccia sul Mar Nero – è tra coloro che per l’indipendenza non ha esitato a combattere nel periodo compreso tra il 1991 e 1993, quando il conflitto abkazo-georgiano infiammava l’area. Paiono secoli. Ferita che non si è mai rimarginata, tantomeno oggi: dopo la piccola crisi russo-georgiana del 2008 e il riconoscimento internazionale di vari paesi tra cui Russia, Venezuela e Nicaragua. I ‘vicini’ però non sono minimamente intenzionati a rinunciare all’Abkhazia, che rivendicano, sospinti da Nato e Usa, nonostante le diversità, culturali e storiche, che caratterizzano i due popoli (radici che affondano ben oltre a 2000 anni fa), e nel silenzio assordante della comunità internazionale (ben altre le posizioni assunte da questa ai tempi del Kosovo…). “La mano tesa ai georgiani da parte nostra non è mai venuta meno. Si ostinano a non voler riconoscere la nostra indipendenza e a rivendicare la nostra terra come loro. Non è così: l’Abkhazia oggi è uno stato libero, come liberi sono i suoi cittadini”. Pochi giri di parole per Ankwab per ribadire questi chiari concetti, sottolineare come la questione sia ancora cruciale, ma anche “Che siamo intenzionati a guardare avanti per cogliere quelle che sono le sfide che questi tempi ci pongono e far crescere il nostro paese”.
Innanzitutto, signor Presidente, la ringraziamo per averci concesso questa intervista. Che genere di rapporto vige oggi con la Georgia anche alla luce delle ultime elezioni e dei fatti accaduti oltre confine: dall’affermazione di un candidato ‘filorusso’, agli scandali che hanno travolto ministri e governo di Shakasvili?
“Siamo al momento al nulla di fatto. Gli ultimi incontri con la Georgia, a Ginevra e avvenuti alla presenza di Stati Uniti, Russia ed Unione Europea, non hanno portato ad alcuna soluzione. Con i Georgiani non siamo riusciti assolutamente a dialogare. L’impedimento è sorto anche dalla presenza dei rappresentanti dei Paesi Baltici e della Polonia che hanno esercitato una sorta di ostruzionismo nei nostri confronti. La russofobia ha preso il posto dell’anticomunismo e tutto ciò che, come nel nostro caso rappresenta amicizia e rapporti di buon vicinato con la Russia, si trasforma in blocco, a prescindere dai contenuti. Le posizioni rimangono al momento diametralmente opposte. C’è comunque da parte dei georgiani ancora oggi, nonostante appunto i cambiamenti intercorsi, nessuna volontà di riconoscere l’indipendenza del nostro paese. Siamo due realtà completamente differenti. Questo però non esclude di istaurare, e ci stiamo impegnando ormai da anni a tal senso, un dialogo costruttivo finalizzato al riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkhazia. Passo a cui seguirebbe una ripresa dei rapporti tra i due stati e di conseguenza alla riapertura delle frontiere. Non siamo noi però a non volere il dialogo con i georgiani, tengo a sottolinearlo, ma loro, fermi su posizioni assolutamente controproducenti e condizionati da terzi”.
Quali dunque signor Presidente, queste posizioni georgiane definite controproducenti, nei vostri confronti? Proprio nulla la Georgia sarebbe disposta a concedere? Non potrebbe esserci qualche sollecitazione da parte dalla comunità internazionale?
“In primo luogo la Georgia pone come condizione l’irrinunciabilità e la rivendicazione dell’intero territorio abkhazo, come parte integrante del suo stato. Sono forti di questa posizione – sostenuta e nemmeno in modo troppo celato per altro dagli Stati Uniti – grazie al mancato riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkhazia: sia da parte delle Nazioni Unite, che della stessa Unione Europea. La Georgia come ribadito in passato non si discosta dal considerarci null’altro che un lembo del proprio territorio e l’unica concessione che sarebbe eventualmente – il condizionale e d’obbligo – disposta a fare è una sorta di autonomia culturale dell’Abkhazia. Una formalità semplicemente irrisoria priva di valore; molto meno di quanto ad esempio, lo stato italiano offre a provincie e regioni autonome. Il sostegno degli Stati Uniti alla Georgia fa sì poi che molti Stati a livello internazionale evitando di analizzare ed approfondire la nostra questione, si allineano su posizioni filo georgiane. Posizioni per altro che trovano schierati anche tanti media occidentali: nel 2008 ad esempio alla stregua degli osseti del sud siamo finiti da ‘aggrediti’ ad aggressori, quando è vero l’esatto contrario. Nemmeno internet a tal senso ci viene incontro. Nonostante l’impegno profuso da parte nostra, dei russi e di altri che contribuiscono alla circolazione di notizie vere relative alla realtà abkhaza, come pure l’attività condotta da Mauro Murgia in Italia, che ringrazio come pure la rivista Eurasia, e tutti coloro che parlano e raccontano l’Abkhazia e le sue genti soprattutto, molte informazioni veicolate sul web non solo non sono veritiere, ma rasentano il falso. Su Wikipedia ad esempio la libera enciclopedia multimediale è riportato che l’indipendenza dell’Abkhazia va contro il diritto internazionale. Curioso vero? E quella del Kosovo, senza aver nulla contro i kosovari sia chiaro, invece no? È stato smembrato uno stato, la culla storico/culturale della Serbia oltretutto per crearne uno, privo di radici storiche, culturali, senza tradizione alcuna, che non ha avuto particolari difficoltà ad essere riconosciuto dalla comunità internazionale…”.
Il ‘caso Kosovo’ però, non avrebbe potuto rappresentare il perno su cui far leva per la vicenda abkaza? O meglio, il precedente per il quale, in sede delle Nazioni Unite attivare la procedura di riconoscimento?
“In teoria. In pratica, non ci siamo mai fatti illusioni. Nei nostri confronti, l’ostruzionismo e questo appare abbastanza evidente oggi, viene fatto quasi esclusivamente in funzione antirussa. Come antirussa, col beneplacito dell’occidente continua ad essere la politica estera georgiana: l’ultima novità giusto perché gli esempi non mancano mai e sono sempre di varia natura è che nel maggio di quest’anno la Georgia ha eretto un monumento sul confine della Circassia a ricordo dei circassi che hanno resistito all’occupazione sovietica. Come la si vuol definire? Propaganda? O cosa? Per non parlare del credito di cui godono certi organi di informazione dichiaratamente filo georgiani sui quali lo spazio all’Abkazia non è certo lesinato, solo però nei termini avversi a noi e alle nostre vicende. Tornando al Kosovo, tengo però a chiarire una cosa: rispetto alla ‘neonazione europea’, l’Abkhazia, oltre a vantare due millenni di storia ha sempre goduto di uno statuto speciale già dai tempi dello Zar, rinnovato anche nel 1931 quando è entrata a far parte dell’Unione Sovietica (solo l’avvento di Stalin ha mutato le cose: con la deportazione di migliaia di abkhazi e l’accorpamento del territorio alla Georgia). Se non altro storicamente e a livello di diritto internazionale qualche ragione in più pensiamo di averla e cerchiamo di farla valere. Già il fatto comunque che oggi, lo ribadisco si parli di Abkhazia a Ginevra, presso la sede delle Nazioni Unite, è un importante passo in avanti”.
Queste resistenze a livello internazionale nei vostri confronti, urlate in taluni casi paiono celare però anche altri argomenti al momento sottaciuti, sia dai vicini Georgiani che dagli Stati Uniti stessi. Ecco, quali altre ragioni, se mi è concesso e se esistono, impediscono l’attuazione di un percorso verso il riconoscimento dell’Abkhazia come stato indipendente? Di natura economica? Strategica? Oppure?
“Posso risponderle che l’Abkhazia oggi è tra i primi paesi al mondo per l’elevata quantità in suo possesso e qualità, di acqua dolce. Difficile pensarlo per uno stato di dimensioni tanto limitate, ma è così. Lo sfruttamento di questa fondamentale ricchezza naturale, senza inquinamento alcuno, ci permette di produrre energia di tipo idroelettrico in abbondanza. E a parte quella utile al fabbisogno del nostro paese, il resto lo vendiamo alla Russia: una quantità tale che permette di soddisfare le esigenze di una larga fetta del territorio russo meridionale. È chiaro dunque che la portata di una risorsa naturale come l’acqua, guardando anche alle condizioni in cui cominciano a versare molti paesi causa siccità, mutamenti atmosferici e altro e per usare la nota frase “Che la prossima guerra si combatterà per l’acqua”, già adesso si rileva oltre che importante per la sopravvivenza, strategica per i paesi che ne possiedono in grandi quantità. Ma non è l’unico fattore. Ci sono ben altre risorse naturali su cui si concentra l’attenzione. A poche miglia nautiche dalla costa, in acque territoriali abkhaze a tutti gli effetti sono stati individuati nel sottosuolo marino enormi giacimenti di gas naturale e di petrolio. Sgombrando il campo da ogni sorta di equivoco e cioè che sono dell’Abkhazia e del suo popolo e di nessun altro, il Governo non è attualmente e non lo sarà nemmeno in futuro interessato a sfruttare questo tipo di risorse. Puntiamo per altro invece ad uno sfruttamento maggiore dell’acqua come delle tante bellezze naturali di cui è ricco il paese. Il mare, i laghi, le montagne i parchi. Il fatto che ora già oltre 2 milioni di russi ogni anno trascorrono le vacanze presso di noi, indica che la via che siamo intenzionati a percorrere è quella dello sviluppo turistico, prima che industriale, dato che il territorio va preservato. Le Olimpiadi Invernali di Soci nel 2014 rappresentano anche per noi una seria e concreta opportunità di crescita. Molto a livello di riqualificazione e valorizzazione si sta già facendo, ma tanto ancora ci sarà da fare soprattutto a livello infrastrutturale. Per questo ci rivolgiamo agli investitori stranieri, italiani compresi, offrendo loro un regime fiscale molto agevolato per intraprendere in Abkhazia”.
Le chiedo se possiamo per un attimo focalizzare l’attenzione sul ruolo della federazione russa, nei vostri confronti. Quale il rapporto che lo stato abkhazo ha attualmente con loro? Cosa ne pensa del fatto che molti media occidentali parlano espressamente di sudditanza?
Con l’avvento di Vladimir Putin, il rapporto si è mostrato da subito costruttivo e di estrema collaborazione. Sono lontani ormai i tempi di Eltsin quando le relazioni con la Russia erano pressoché inesistenti. Basti pensare che dal suo primo insediamento al Cremlino Putin ha capito subito e manifestato che il nostro stato non era e non è parte integrante della Georgia, ma una realtà indipendente e come tale deve essere autonomo. La Federazione Russa inoltre dopo la crisi diplomatica coi georgiani non ha esitato solo un attimo a riconoscerci, contribuendo ad elevarci a nazione tra le nazioni. È venuta incontro alle esigenze della popolazione, in primo luogo mediante la concessione del passaporto russo, che consente ai cittadini abkhazi la libera circolazione al di fuori dei confini del proprio Stato, come avviene per i cittadini delle altre nazioni. Gli Abkhazi possono entrare liberamente in territorio russo, così come in tutti quei Paesi che hanno riconosciuto l’Abkhazia. Non va dimenticato poi il sostegno in termini economici sociali e tecnici offerto dalla Federazione Russa all’Abkhazia, teso allo sviluppo dello Stato, come pure quello militare. Come potrebbe fare altrimenti la nostra nazione a difendere e monitorare le proprie acque territoriali, in mancanza di una marina propria? Non è passato molto tempo, è utile ricordarlo, da quando unità navali georgiane si frapponevano e bloccavano tutte le imbarcazioni che volevano approdare nei nostri porti, arrestandone addirittura gli equipaggi. Inoltre è sicuramente meglio che siano le unità russe a controllare il confine con la Georgia, al fine di evitare ulteriori tensioni. Soprattutto il supporto offertoci dalla Federazione Russa ha contribuito a far parlare gli abkhazi del loro paese e non altri, come purtroppo continua in larga parte ad avvenire. Mi sento di parlare quindi di stretta collaborazione come per altro avviene con le altre realtà che ci hanno riconosciuto quali ad esempio il Nicaragua e il Venezuela. Chi usa il termine sudditanza, fa ben altro gioco…”.
Non di rado però si pone l’accento anche sull’assenza di democrazia in Abkhazia…
Posso dirle che come il mio predecessore Bagpash, sono stato democraticamente eletto; ero in lizza insieme ad altri candidati. Mi permetta comunque di rispedire questa accusa al mittente. Le elezioni in Abkhazia avvengono nel rispetto delle regole. Senza contare che, a scanso di ogni equivoco, accogliamo centinaia di osservatori internazionali in occasione di ogni tornata elettorale, sia presidenziale che parlamentare, come avvenuto pure nel corso di quest’anno. L’affluenza è decisamente alta (siamo oltre al 90%). E il momento delle consultazioni è vissuto in molti casi come una festa, al di la di chi siano i vincitori o il vincitore. Ma a voler indicare questi come problemi significa conoscere in modo fittizio la nostra realtà. Necessitiamo di investimenti per crescere, di essere riconosciuti. E soprattutto di prosperare in pace dopo aver conquistato indipendenza e libertà alle quali non rinunceremo”.